AQABA – Il Mar Rosso ci accoglie con una fresca serata ventosa; niente afa, niente caldo. Su un piccolissimo tratto del già piccolo tratto di costa della Giordania, risparmiato al terminal cargo e passeggeri, il Beduin Garden village è uno dei pochissimi sulla spiaggia ed ha un’aria molto trasandata nonostante abbia ambienti comuni – tra la piscina e la tenda beduina – molto belli ed accoglienti e le stanze siano come bungalow; prendiamo possesso della stanza e ci tuffiamo nella nightlife di Aqaba. Una città sul mare senza un vero e proprio lungomare, dove i negozi, i souq e i locali sono tutti tra la King Hussein Street e la moschea. Vita mediorientale tra le viuzze che corrono parallele alla strada principale e una sezione chiamata souk che poi vero e proprio souk non è, ma una sequenza di botteghe su una strada piccola. La serata è vivace, c’è un bel traffico sostenuto, essendo giovedì, e tutto prende vita dopo il tramonto. La strada alle spalle della moschea promette una buona densità di locali dove mangiare, ma è piuttosto sonnacchiosa. Ci concediamo comunque il primo mezzè e shawerma – che sarà una quasi-costante del viaggio – all’Arabic Moon, un onesto kebbabaro con tavoli in strada sotto le fronde.

Venerdì mattina – che poi è la nostra domenica – scendiamo in spiaggia; il vento è teso e freddo, per cui noleggiamo due mute pesanti. La spiaggia non è propriamente sabbia, ma un mix di corallo sbriciolato e terra, con ombrelloni fissi e un parco giochi bambini che sembra uscito dalla Russia degli anni settanta: tristissimo. La spiaggia però suona e profuma; tantissime famiglie o gruppi di amici – rigorosamente maschi – con la radio a palla su musiche arabe neomelodiche e un piccolo bbq sotto ogni ombrellone dove si griglia del gran manzo, pollo e macinato infilzati su spadini. Un patito di bbq come il sottoscritto non può che fermarsi a chiedere informazioni, ma poi è un guaio perché i Giordani sono estremamente gentili ed ospitali, sono rinomati per questo anche tra gli altri popoli arabi e allora cominciano ad impiattare uno shawerma al volo proprio per te e devi accettare per forza, anche se hai appena finito di bere un caffè e un manzo speziato non è proprio quello che vorresti mangiarci dopo, però pare brutto e si offendono. A meno che tu non sia vegetariano. Però sarà stata l’euforia per essere appena arrivato, la situazione in spiaggia con questi quattro ragazzi davvero simpatici – nonostante la barriera linguistica – ma quel boccone di shawerma aveva un sapore davvero fantastico.

Proseguiamo con un bagnetto veramente gelido, nonostante le mute, una sofferenza piacevole per snorkelare sulla barriera corallina che è li veramente a due bracciate dalla riva. Tuttavia, ne abbiamo viste di migliori e il freddo sta iniziando a farsi strada tra le ossa; molliamo la spiaggia ed andiamo in centro con la luce, prima del tramonto.

Il venerdì sera il viavai di gente è ancor maggiore, rispetto alla sera precedente; una passeggiata lungo la spiaggia che costeggia la King Hussein Street ci consegna qualche bella foto della gioventù local, con i raduni in spiaggia dei gruppi di giovani; rigorosamente separati per sesso – ma le donne escono da sole e fanno comitiva – e con musica araba neomelodica a palla. Proseguiamo fino alle rovine di Aila; i resti dell’antica Aqaba, nei pressi del Kempisky hotel – poca roba, a dire il vero – proviamo ad entrare in moschea ma “alt, dovete indossare la tunica tradizionale” ma noi “no grazie, siamo di fretta” (ma non è vero) e ci ributtiamo di nuovo nella strada alle spalle della moschea, per cenare da Ali Babà, sede aqabese di una catena abbastanza rinomata in Giordania che pare abbia visto tempi migliori; è un ristorante moderno, che serve alcool ed ha un bel menù, grosse tavolate sia di turisti che di locals, dove ceniamo bene, ma nulla di memorabile.

Aqaba beaches

ISTRUZIONI PER L’USO

SOLDI – A febbraio 2023 1 JD = 1,4 €; il JD è poi diviso in millesimi. Nella pratica, oltre alle banconote, l’unico taglio in moneta che circola è il mezzo JD per cui non si trova nulla a meno di 0,7€. E se anche lo si trovasse – tipo facendo benzina – poi non avrebbero le monetine per il resto; almeno nelle zone turistiche. Ad Amman e nelle zone meno turistiche c’è sia il quarto che il mezzo e danno sempre il resto in moneta.

TEMPERATURA – A febbraio si va dai 5 gradi del mattino ai 25 di metà giornata. C’è un solo imperativo: vestirsi a cipolla. Al mattino e dopo il tramonto serve la felpa. Il mar Rosso è bello freddo, con tutta la muta spessa. Il mar Morto è fresco e – data la calura del luogo – è anche piacevole bagnarsi ad intervalli di 20m, così come consigliato, rigorosamente con doccia post bagnetto.

GUIDA (e cunette) – La Giordania è un paese molto tranquillo, anche alla guida; sebbene in autostrada vi capiterà qualcuno contromano o che attraversa a raso, generalmente le manovre azzardate sono fatte in sicurezza. Non si corre tantissimo e i pochi semafori sono rispettati; quando scatta il verde intercorrono 3 millisecondi per udire il primo clacson, ma si sopravvive. Discorso a parte per Amman, città di 4 milioni di abitanti e con un traffico davvero caotico; nulla di particolare da segnalare se non il rischio imbottigliamento, ma di quelli seri. Fortunatamente ci sono vicoli e vicoletti per uscire dalle arterie principali e cercare via alternative, se siete coraggiosi. Le strade sono però disseminate di cunette, spesso non segnalate. Il 50% circa di queste sono cunette ampie e basse, l’altra metà sono alte, corte e non segnalate e si rischia di rompere il semiasse; in generale la regola fuori città è: dove c’è la casetta c’è la cunetta. Controlli della polizia molto molto frequenti e ben segnalati: rallentate, fermatevi allo stop, vi chiederanno “Where are you from” senza neanche chiedere i documenti; alla vostra risposta seguirà un sorriso e “Welcome to Jordan”.

Jeep drive

WADI RUM – Lasciata Aqaba, la Desert Highway (una nostra superstrada) attraversa una bella gola desertica che è un antipasto di quello che sarà poi il Wadi Rum. Dopo circa 45m d’auto si abbandona l’autostrada per gli ultimi 20km su un nastro d’asfalto – in buone condizioni – che in alcuni tratti costeggia i resti della Hedjaz Railway . Il nastro d’asfalto, poco prima del villaggio di Disah – pubblicizzato come Wadi Rum 2, ma fuori dall’area protetta di Wadi Rum –  vira verso destra per arrivare al Wadi Rum Visitor Centre, dove bisogna registrarsi e mostrare il Jordan Pass, sottoponendosi ad un interrogatorio da parte della polizia che vi chiederà chi siete, da dove venite, dove andate, un fiorino, welcome to Jordan; sarà una costante del viaggio. Se non si ha una prenotazione per un campo tende, si viene assaliti dai referenti dei vari campi, ma si tratta di un assalto molto molto educato – paragonato ad altri paesi arabi – al primo no, di solito non si insiste. Il personale del visitor centre è comunque super-disponibile ed attento nello sventare truffe ai danni dei turisti. Disbrigate le formalità si guida fino al Wadi Rum Village, un agglomerato di costruzioni senza senso, dove si trovano fondamentalmente gli uffici dei vari campi, qualche minimarket, alcuni shawerma-bar, meccanici a profusione, la moschea e le scuole per i bimbi degli ex-nomadi ora convertiti al turismo. Lasciate la macchina al parcheggio e se avete prenotato, in qualche modo, si paleserà il referente del vostro campo; se non avete prenotato, iniziate pure la trattativa. Noi abbiamo scelto Khaled’s Camp su booking: e proprio Khaled ci viene incontro al parcheggio. E’ un tipo davvero simpatico e si vede che ci sa fare coi turisti (un po’ come tutti qui); ci porta al suo ufficio, ci offre del tè e ci vende i servizi aggiuntivi, come la cena e il tour in jeep nel Wadi Rum (80 JD per la jeep, ma siamo soli). Il giro è veramente bello dura circa 4h e si toccano tutti i punti degni di visita sulla cartina del Wadi Rum; certo che di jeep in giro ce ne sono tante e si perde, in alcuni tratti, quella dimensione solitaria tipica del deserto. Ma Omar, il nostro driver, è un manico e sa portarci via dalle zone battute, lasciandoci fare anche un pezzo a piedi in solitaria nel deserto (ehi, posso inserirlo nel CV): un piccolo wadi con le pareti altissime – siamo almeno al fresco – da attraversare e arrampicare in solitaria; magia pura. Lui viene a riprenderci alla fine del canyon, dove c’è anche una tenda berbera che vende qualche souvenir e del tè. Ultimo pezzetto del tragitto in una spianata spettacolare col sole che è già calato parecchio ed ammanta tutto di un rosso che potremmo essere su Marte, se non fosse per la musica araba neomelodica che Omar ha sparato nello stereo della jeep.

La serata all’accampamento è come vorresti che fosse: si sorseggia tè al tramonto sulla terrazzina ricavata nella roccia (chicca del campo) finché il sole scompare e inizia il freddo vero. La tenda dove si serve la cena è davvero belle e ampia, con un camino e la possibilità di mangiare al tavolo o svaccati per terra intorno al camino – our choice. Cena con cottura beduina nel “forno” sotto la sabbia; però il pollo vi è venuto un po’ secco, va detto! E c’è anche un wi-fi bomba nella tenda ristorante ed Empoli-Napoli 0-2, ti rimette ancor più in pace col mondo, se mai ce ne fosse bisogno. Uno sguardo veloce alle stelle, che si gela davvero, e poi in tenda a seppellirci sotto tre coperte, che domani ore otto si torna alla base.

Mars-like sunset

PETRA / WADI-MUSA – Dal Wadi Rum a Wadi Musa, lì dove si trova Petra, sono strade secondarie di campagna, con paesini che spuntano all’improvviso sulla strada a corsia singola e occhio che, dove c’è la casetta, c’è la cunetta, di solito, non segnalata. Wadi Musa è un paese cresciuto in maniera disordinata sul colle adiacente all’ingresso di Petra e se anche l’hotel prenotato vi sembrerà vicino all’ingresso, in realtà la collina è davvero ripida e vi serviranno buone gambe o un taxi. Noi abbiamo alloggiato all’ottimo Petra Family Hotel, un alberghetto nuovo di pacca a gestione familiare (chi l’avrebbe mai detto).

L’approccio al parco archeologico di Petra deve passare attraverso una sostanziale valutazione: MONASTERO SI / MONASTERO NO. IL monastero è una delle tombe reali che i Nabatei hanno scolpito nelle rocce di questa valle pazzesca; si tratta del monumento forse più grande e meglio conservato. Ma è terribilmente fuori percorso. Se NO la visita si può effettuare tranquillamente in una sola giornata, piccola Petra inclusa, se SI meglio arrivare al Monastero al giorno due, dato che ci vogliono un 3h ad andare e 3h a tornare.

L’avvicinamento al parco archeologico attraverso il siq, la via sacra che corre lungo il canyon, è a dir poco spettacolare e poi, quando meno te lo aspetti, SBAM compare il TESORO – si, proprio quello di Indiana Jones – nella fenditura del canyon. Il sole lo bacia solo tra le 10.00 e le 11.30 a febbraio e c’è una bella batteria di cammelli che ci stazionano davanti a favore di obiettivo. Inoltre, su entrambi i lati del canyon, ci si può arrampicare per fare delle splendide foto dall’alto: a destra a pagamento, a sinistra, dietro il bar, aggratis! Questo bar / piccolo negozio di souvenir – uno dei tanti che troverete a Petra – merita una menzione: potete prendere un tè e godervi la vista del Tesoro a 10m di distanza comodamente seduti su un divano: un vero privilegio. Continuando, il canyon comincia ad aprirsi, sulla parete di destra quattro spettacolari tombe reali, in alto, richiedono un po’ di lavoro extra per i polpacci, mentre sulla sinistra, dopo il teatro romano, si apre la strada colonnata con altri templi lasciati dai romani. Sulla sommità della collina di destra del colonnato, li dove si trovano anche i resti di una chiesa bizantina con mosaici, menzione per un secondo bar con tavolini all’ombra da cui si domina tutta la valle. Unica nota negativa, forse un po’ troppi negozi di souvenir e beduini che tentano di vendere passaggi su mulo o su cammello. Ma che posto pazzesco! Il percorso per arrivare a Piccola Petra passa attraverso il villaggio di Uum Sayhoun, così vicino, ma così lontano dal paese di Wadi Musa; qui turisti non ne arrivano e merita una sosta anche solo per un tè o uno shawerma. Piccola Petra è ancora qualche km più avanti; è una piccola gola col fondo sabbioso dove ci sono bei templi / tombe, inclusa l’unica colorata e termina in alto con un bar / souvenir da cui si può anche iniziare un trekking alternativo per raggiungere il Monastero, ma occhio che ci si perde facilmente. Alla sera Al Wadi Restaurant – nella parte alta di Tourism street – è davvero ottimo, con una bella atmosfera, forse ad uso e consumo del turista. In alternativa, il Petra Oriental Restaurant – nella parte bassa di Tourism street – ha una sezione del menù dedicata alla carne di cammello (si, ok, è dromedario in realtà).

The treasury

EL CHE SADDAM – Dialogo reale avvenuto in un negozio di souvenir con Abdul (nome di fantasia)
Io: Ma queste banconote irachene, ancora con su Saddam Hussein, sono originali?
Abdul: Sì ma sono solo come souvenir
Io: Ho visto molte auto con l’adesivo di Saddam Hussein
Abdul: Si qui, in Giordania lo amiamo molto
Io: Davvero?
Abdul: Si ha fatto tanto per noi, specialmente nel sud della Giordania, ci dava la benzina gratis e potevamo andare a lavorare in Iraq senza permesso di soggiorno
Io: Ma avete avuto un bravissimo re, re Hussein
Abdul: Si, però prima la Giordania era un paese povero mentre l’Iraq era un paese ricco, ma adesso con la guerra hanno perso tutto
Io: mmmh
Abdul: viva Saddam (e mi fa il cenno della V con le dita)

El Che Saddam

DA PETRA AD AMMAN – Strade come montagne russe per uscire da Petra, deserto ocra e giallo, villaggi e scolari, cittadelle e traffico, financo pale eoliche e neve sulla strada. E vicino alla casetta, immancabile la cunetta.

Il forte di Al-Karak è sul cucuzzolo di una collina che domina il paesaggio circostante, un luogo tremendamente ventoso, si viene proiettati nel medio-evo. Però a noi piacciono le cose autentiche e poiché pare qui i turisti si limitino al castello e alla piazza antistante, all’uscita non riprendiamo l’auto e ci addentriamo su quello che sembra il corso principale della cittadina. E sono subito sorrisi, welcome, where are you from, falafel che costano un sesto e spezie squisite; un assaggio di Giordania ancora non contaminata dal turismo.

Riprendiamo la marcia verso nord, rimanendo sulla strada parallela alla Desert Highway che corre lungo il crinale dei monti che separano le due valli principali della Giordania, fino ad un canyon con delle viste mozzafiato, il Wadi Moujib – che arriva fin sul mar Morto – dove c’è anche una diga e un punto panoramico da cui scattare tante belle foto, con un venditore di artigianato che ha prezzi tremendamente fissi e allora ciao.

Anche Madaba ti dà subito quell’idea di Giordania autentica e non turistica, con le strade polverose e le bakery che sfornano squisiti pani ripieni di carne o di formaggio; un paesone caotico dove le chiese da visitare si concentrano nel centro storico, che poi non è neanche brutto. Al mosaico di San Giovanni Battista siamo soli e il custode ci lava le tessere per togliere il velo perenne di polvere desertica, agevolando le foto; un mosaico davvero emozionante. Nella chiesa ortodossa di San Giorgio il mosaico che rappresenta una cartina del medioriente al VI secolo d.c. … quasi quasi lo calpesti ed è molto molto bello. Madaba si trova al confine meridionale di Amman, ed è davvero poco il tragitto prima di essere fagocitato dal traffico della capitale, casa per quattro milioni di abitanti.

Riusciamo ad arrivare giusto all’ora di punta e tutto è davvero bloccato e allora “che ne dici se ci infiliamo di qua e ce ne andiamo per vicoli e vicoletti?” Funziona! Amman ti avvolge con le sue colline senza un cm libero, con uno sguardo d’insieme che non è poi malissimo, con i suoi palazzi alti al massimo quattro piani (per regolamento) di color panna o sabbia. Prendiamo possesso della stanza al buon New Marryland Hotel – in posizione super strategica – e ci dirigiamo subito alla moschea Al-Hussein per il tramonto, che sarebbe anche raggiungibile a piedi, se non fosse per un paio di km da fare in salita, parecchio ripida. Giunti alla moschea bisogna pagare il biglietto d’ingresso – non incluso nel Jordan Pass – e indossare il caffettano tradizionale; la moschea è moderna, azzurra e davvero bella, la blue hour è perfetta per le foto e becchiamo anche l’inizio della preghiera. Proseguiamo nella zona di Paris Square dove ci sono un paio di stradine piene di caffè, ristoranti e bei negozi d’artigianato – Al-Afghani top – e non ci facciamo mancare una sheesha con tè alla menta al Rakwet Cafè. Terminiamo la serata a Rainbow Street: meglio parcheggiare prima e concedersi una bella passeggiata in questa strada piena di locali e negozi di souvenir con prezzi onestissimi. La cena all’elegante Sufra restaurant è la migliore del nostro viaggio.

Madaba – Chiesa degli apostoli

AMMAN FULL DAY – Svegli di buon’ora, subito verso la cittadella e il centro storico. Il tutto è abbastanza compatto tra il Ninfeo, il Teatro romano e la Cittadella in alto e in una mezza giornata si smarca tutto. Conviene prendere un taxi fin su alla cittadella che la salita è veramente tosta, per godersi la discesa fino alla zona del teatro e dell’odeon. Poi il ninfeo e di fronte il souq, compatto ma autentico e l’antica moschea Al-Husseiny all’uscita del mercato. Poi una bella passeggiata lungo i negozi della trafficatissima King Faysal Square – che non è una vera e propria piazza, ma piuttosto una via molto ampia e trafficata – per goderci un pranzo da vero Ammanita da Hashem, campione del mondo di mezzè vegetariane, ad un prezzo davvero assurdo, nonché uno dei locali preferiti dalla Royal Family. Di fronte alla cittadella, nel quartiere di Al Ashrafyeh, un quartiere popolare ben diverso dai quartieri residenziali di Jabel Amman o El-Weibdeh, si staglia bianca e nera la mosche di Abu Darwish, che necessita di buone gambe o di un’auto per essere raggiunta, trovandosi in cima ad una delle colline più ripide della città. La moschea purtroppo non è visitabile, ma molto particolare esternamente. Veniamo circondati da un gruppetto di bambini appena usciti di scuola e con piacere regalo una delle mie magliette di calcio … contentissimi! La serata trascorrerà al Blue Fig, nel quartiere di Al Dyar, un locale molto fighetto, frequentato dal jet set ammanita; nulla di memorabile da registrare sul fronte gastronomico.

Amman – Souk

JERASH e AL-AJNOU CASTLE – Un’ora di strada divide Amman da Jerash, al nord della capitale, l’antica Gerascia, una delle decapoli dei Romani. Quello che impressiona è la grandezza del sito, man mano che ci si avvicina al centro della città; le rovine sono in basso e sui colli circostanti si è sviluppata la città moderna. Una volta dentro – nonostante la riluttanza nel visitare le ennesime rovine romane, per noi che a Roma ci abitiamo, scopriamo una città conservata davvero bene, dominata dal lunghissimo decumano che incrocia due cardi, anch’essi orlati da colonne. Teatro e foro tenuti benissimo, ma quello che sorprende è il piccolo teatro alla fine del percorso, che spunta fuori dal nulla, una volta varcata una porticina quasi insignificante e si sentono davvero i “wow” dei turisti che varcano la soglia. Jearsh decisamente vale la deviazione.

Ci dirigiamo verso la valle del Giordano, pranzando all’ennesima bakery lungo la strada; il castello di Ajiloun ci è più o meno di strada. Eretto sulla sommità di un colle che domina tre wadi nel XII secolo, faceva parte della linea difensiva che da Damasco scendeva fino ad Aqaba nel regno dei mamelucchi. Sebbene sembri disastrato dall’esterno, ha un interno conservato benissimo e restaurato di recente, molto interessante. Da qui inizia la discesa verso la valle del Giordano, fiume che costeggeremo seguendo la polverosa Jordan Valley Highway, inframezzata da wadi polverosi e paesini polverosi che sanno di povertà. Il mar Morto e i suoi albergoni all-inclusive per turisti danarosi sono a pochi km

Jerash – Foro romano

Il mar Morto può essere una piacevole gita fuori porta da Amman (circa 1h d’auto) o un luogo dove rilassarsi per qualche giorno; la parola relax è d’obbligo perché da fare, nelle vicinanze, c’è davvero poco. Noi ci siamo fermati tre giorni, optando per un hotel giordano, il Dead Sea Resort SPA, anziché le solite note catene internazionali. La giornata tipo: si fa colazione, si scende in spiaggia, si alternano bagnetti da venti minuti a docce per desalinizzarsi, spalmaggi di fanghi a sole sul lettino, fino ad ora di pranzo, quando si va al pub dell’hotel per un panino, seguito da un bagnetto, seguito da una doccia, seguito da una pennica, per poi ricominciare con bagnetti e docce fino al tramonto, che si può ammirare dalla spiaggia o dalla terrazza del bar sorseggiando una buona birra locale – la Canakkale, davvero buona. Poi doccia, vestito per la sera e via a cenare, sempre in hotel.

Il mare è fresco ed è fantastico per inframezzare la calura del luogo che già, nei primi giorni di marzo, comincia a diventare “importante”. Il mare è salatissimo, amaro ed oleoso; impossibile stare dritti, meglio arrendersi alla legge di Archimede e rilassarsi sulla schiena. La “spiaggia” è in realtà sale misto terra e al mattino la foschia unisce acqua e cielo, permettendo foto di galleggiamento totale. Uomini rigorosamente no barba al mattino e donne no depilazione, per non soffrire una volta in acqua.

Fuori dagli albergoni pare ci siano alcuni centri commerciali che però abbiamo preferito non esplorare; volendo fare qualche attività alternativa, ad una ventina di km verso sud ci si può addentrare nel Wadi Mujib, ma anche qui abbiamo preferito non esplorare, distrutti dalla vita oziosa in hotel. Però mi son finito due libri in 3 giorni! Domani si torna in Italia!

Afloat on Dead Sea

Tutte le foto della Giordania sono qui.

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