Lo straordinario patrimonio gastronomico italiano si compone anche di piatti i cui nomi non danno immediatamente l’idea di cosa si stia per mangiare, quando non si tratti addirittura di nomi fuorvianti. Abbiamo ricostruito l’origine di alcune pietanze per voi.

Finanziera Piemontese

Nella metà del XV secolo, i contadini non se la passavano benissimo e spesso, con i pochi ingredienti a loro disposizione, dovevano fare grande uso di fantasia. Ciò nonostante sono tanti i piatti di ispirazione “povera” che ancor oggi mangiamo – con i dovuti aggiustamenti, nel tempo – e tra questi un posto di rilievo lo ha senz’altro la Finanziera Piemontese. Piatto nato nel Monferrato, di cui si ha una testimonianza scritta risalente alla metà del secolo XV, ha subito parecchie rivisitazioni fino ai giorni nostri: gli ingredienti principali sono animelle e cervella di vitello, creste di gallo, fegatini di pollo che sono prima sbanchiti, poi tagliati in dadolata e soffritti con funghi e cetriolini, per essere infine sfumati con del marsala. Pare che ad un certo punto della storia la finanziera abbia abbandonato le tavole dei contadini, per “trasferirsi” su tavole più aristocratiche, prendendo il nome dalla giacca da cerimonia, detta appunto finanziera, indossata a Torino nell’800 dai rappresentanti della finanza piemontese.

Cappon Magro

Il Cappon Magro è un piatto ligure molto ricco, che mette assieme pesce e verdure. Nasce povero, consumato dalla servitù con gli avanzi del pesce dei signori, ai quali venivano unite delle verdure e delle gallette ammollate in acqua, per preparare una sorta di insalata fredda. Nel corso dei secoli la ricetta si è affinata ed evoluta, sia in termini di qualità di pesce utilizzato – sempre più pregiato – sia in termini di impiattamento; la preparazione ha assunto nel tempo caratteristche barocche, fino a rappresentare quasi un trionfo del pescato da portare in tavola soprattutto nei giorni antecendenti la Pasqua. L’etimologia è controversa: alcuni la fanno risalire all’uso del pesce cappone o gallinella (anche se in Liguria col termine capone si indica lo scorfano), alcuni prediligono invece il riferimento ad un piatto di magro sostitutivo del cappone, altri ancora spiegano il nome con l’uso della galletta, chapòn in Francese, o lo collegano alla caponata siciliana, piatto presente anche nella cucina ligure, seppure in forma differente. Oggi il cappon magro prevede ancora l’uso della galletta imbevuta di acqua e aceto, come base per un polpettone di verdure e pesce, solitamente di forma conica, che si erge dal piatto e viene decorato poi con molluschi e crostacei.

Genovese

La Genovese è una preparazione che trae in inganno; si tratta infatti di un sugo tipico della gastronomia napoletana, la regina della tavola (il re è il ragù). Sebbene sia abbastanza nota, ha un’etimologia alquanto incerta. Si tratta di una sorta di ragù realizzato con una gran quantità di cipolle affettate, fatte cuocere insieme a della carne (di solito annecchia), e a carota e sedano, a fuoco basso e per lungo tempo. Le cipolle devono letteralmente sciogliersi durante le cinque o sei ore che servono per portarle a cottura, trasformandosi in un sugo denso e marrone. Vediamo le ipotesi sul nome: nel XV secolo, durante il periodo aragonese, nei dintorni del porto di Napoli c’erano parecchie taverne gestite da cuochi genovesi che avevano l’abitudine di ricavare il sugo per condire la pasta durante la cottura della carne (detto u’ Toccu). Nel libro del Cavalcanti, del XIX secolo, si fa riferimento ad un sugo denominato Genovese a base di cipolle. Ma forse le cose sono più semplici e O’ Genoves’ era semplicemente il soprannome di un cuoco che inventò questo stracotto a base di carne e cipolle.

Burrida

Piatto sardo, ma con lo zampino dei genovesi. Nonostante il carattere insulare, la Sardegna non vanta una grande cucina di mare; storicamente le popolazioni, per difendersi dai pirati, erano costrette a rifugiarsi nell’entroterra, sfruttando più che altro le risorse ittiche nelle sole zone lacustri del cagliaritano e dell’oristanese. Furono i Genovesi nel Medioevo a iniziare a sfruttare le coste sarde per la pesca, portando con sé alcune tradizioni gastronomiche, tra cui l’uso dell’aceto nelle preparazioni alimentari, e diverse tecniche apprese dagli arabi. La Burrida – il cui nome deriva da una parola araba che indica una pietanza tagliata a tocchetti – è presente in tutto il Mediterraneo occidentale, con diverse varianti. La versione sarda prevede l’uso del gattuccio, un pesce non prelibatissimo, che viene tagliato a tocchetti e sbollentato rapidamente, per essere poi ricoperto da un intingolo a base di soffritto di cipolla, con aglio, gherigli di noce e aceto. Lo si lascia riposare per 24 ore per fare in modo che tutti i sapori si amalghimino e l’aceto insaporisca il pesce.